La commozione del vero | ||
di Giorgio Seveso | ||
È immediatamente lampante, già dal primo sguardo rivolto ai dipinti di Claudio Cattaneo, quanto il tema della pittura
figurativa e soprattutto di un suo traslato liricamente conseguente, di una tradizione delle cose oggettive nel privato
di una visione soggettiva, rappresenti la principale e appassionata tensione che ispira il suo lavoro. E risulta
altrettanto lampante (soprattutto dopo averlo ascoltato parlare nel nitore del suo studio, davanti all’ordinatissima
schiera delle tele e degli strumenti del suo lavoro) quanto tale tensione derivi più da una persuasione di natura
filosofica che da una semplice scelta stilistica, permeandone dunque ogni enunciazione, ogni tratto di mestiere, ogni
scelta d’espressione.
Sono proprio queste le ragioni della sua pittura che mi hanno subito convinto ed interessato. Egli guarda alla natura morta, al mondo e alle cose come se la troppa chiarezza del nostro minacciato presente lo obbligasse a tenere socchiusi gli occhi dell’anima, e dunque a ricostruirne sulla tela o sulla carta, proiettandole sullo schermo caldo della sua immaginazione e della sua sensibilità, le forme più accettabili e grate, i simulacri più quieti e pacificati. È una filosofia del naturale e del sensibile che, tra le sue mani, ha trovato in questi anni immagini delicate e tonali, fatte di sguardo e di aria, di fiati leggeri e di ombra, e che dunque rappresenta come una sorta di risposta lirica alle crudezze dell’oggi, come una fervida consolazione interiore capace di farsi delicata e fragrante bellezza. Questa accorata serenità del suo sentimento del mondo, pacato e trasfiguratore, si incanta lievemente nelle strutture stesse della visione compositiva, nel silenzio felpato del vaso di fiori immerso nella luce, nell’incarnato dei ritratti trepidi di nostalgia e d’affetto, nella frutta che garbatamente si mette in posa a richiamare sfioramenti di sapori e memorie, passati profumi... Così, con estrema semplicità, Cattaneo ci accompagna verso le ragioni di una contemplazione ancora possibile, di una visione che pur nel suo distacco quasi metafisico conferma tutto l’amore verso la vita e la sua realtà. Perché, dicevo, la precarietà del nostro presente, in queste opere sobrie e delicate, velate d’incantamenti misteriosi, s’impasta alle tracce residue dei valori umani che pur sopravvivono intorno a noi, malgrado tutto, e ci conduce a scoprirvi talvolta paradossalmente, per un inaspettato sobbalzo dei sentimenti, una sorta di erotica della natura, una bellezza indicibile ed estenuata dell’assenza: qualcosa di appena intuìto, desiderato e ripensato alla luce di una nostalgia infinita. Nelle immagini del nostro artista confluisce appunto la materia commossa e assorta di questa nostalgia. Una commozione che nulla ha più da spartire, nemmeno da lontano, con il sospetto di un d’après nature di mero genere, realizzandosi in assorti materiali visivi e materie liriche tanto “banali” quanto inediti e spesso sorprendenti, capaci di interne tensioni, di commozioni interroganti, di intime significazioni e trasfigurazioni. Si tratta dunque di opere sensibili e cordiali, scenografie interiori della memoria e dell’osservazione, che diventano come un’intima riscrittura di paesaggi dell’anima, capaci di evocare una natura in qualche modo non “naturalistica”, poiché, se i soggetti sono appunto quelli dell’oggettività (il paesaggio, i fiori, i corpi, gli sguardi), vero tema ne sono però i sentimenti, le emozioni, i valori poetici che le immagini stesse pongono in fibrillazione emotiva. C’è insomma, nel trattenuto calore di questi lavori, qualcosa che oggi, purtroppo, sembra essere sempre più raro e difficile da rinvenire. Cioè il fascino sottile di un commosso rapporto tra figurazione e poesia. |
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